Quando Buenos Aires fu bombardata
Aizzerò gli Egiziani contro gli Egiziani:
combatterà fratello contro fratello,
uomo contro uomo,
città contro città, regno contro regno.
(Isaia 19,2)
E sembrò proprio che il Signore avesse voluto confondere anche gli Argentini, quel giorno di giugno nel quale un gruppo di militari ribelli, mossi e accecati da un odio viscerale verso il presidente Perón, lanciarono un attacco che stupisce per la sua sconsideratezza.
Le pagine seguenti sono la traduzione, dallo spagnolo, della cronaca di quell’orribile giornata del 1955, tratta dai blog di Alberto N. Manfredi (H).
Le fonti principali, utilizzate dall'autore, sono elencate a fondo pagina.
L’illustrazione sotto al titolo è di Diego Manuel Rodríguez.
Non si può dire buona lettura, perché si tratta di una storia penosa; ma almeno spero che la troviate interessante. I commenti saranno molto graditi.
Grazie,
L. Pavese
Buenos Aires bombardata!
L’alba del 16 giugno 1955 sorse in pessime condizioni climatiche. Faceva freddo e una densa cappa di nubi copriva il cielo di Buenos Aires. Il servizio metereologico preannunciava piogge leggere con vento; e una base delle nubi di soli m 200 era estremamente bassa per i velivoli della Fuerza Aérea che avrebbero dovuto effettuare un volo commemorativo sopra la capitale, per onorare la bandiera nazionale argentina.
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Benjamín Gargiulo |
Quella mattina, i porteños si stavano preparando per un’altra giornata di lavoro, e neanche immaginavano la spaventosa tragedia che stava per abbattersi su di loro.
Già dalle prime ore del mattino si registrava un andirivieni insolito al Ministero della Marina, dove l’ammiraglio Benjamín Gargiulo aveva trascorso la notte. L’alto ufficiale era in uno stato d’agitazione estremo quando il contralmirante Samuel Toranzo Calderón, Capo di Stato Maggiore si presentò nel suo ufficio.
“Gli ordini sono stati impartiti”, disse colui che era appena giunto, varcata la soglia: “La Casa de Gobierno sarà bombardata”.
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Il palazzo del ministero della Marina, quartier generale dell'insurrezione militare |
Intanto, nel vicino Arsenal Naval le truppe dei “congiurati” stavano approntando il proprio equipaggiamento.
Gli ufficiali in comando si trovavano già al loro posto, quando le prime luci di quel grigio giovedì cominciarono a sorgere all’orizzonte. Avevano prescelto come loro punto d’aggregazione il quarto piano dell’edificio, sede del Comando de Infantería de Marina (Fanteria di Marina), affidandone la guardia alla Compañía Nº 1, comandata dal teniente Barbará, il quale aveva diviso l’area in due sezioni agli ordini dei sottufficiali Pacífico Flamini e Esperidión Funes. Le truppe, nelle loro uniformi da combattimento e armate di fucili automatici FN e mitragliette ML-57 Halcón di fabbricazione argentina, avevano ordine di sparare a tutti gli intrusi.
Oltre agli ufficiali ribelli, si erano presentati al Ministero numerosi rappresentanti civili, quasi tutti candidati a far parte della “Junta de Revolución Democrática” che avrebbe dovuto costituirsi immediatamente dopo la caduta del governo di Juan Domingo Perón. Fra questi spiccavano i dottori Luis María de Pablo Pardo, Adolfo Vicchi e Miguel Ángel Zavala Ortiz, i signori Lamuraglia, suo figlio Jorge, Alberto Benegas Lynch, Carlos Olmedo Zumarán e il Teniente de Navío Claudio Mejía.
Quasi tutti, al passar davanti alla Casa Rosada, avevano notato le luci accese nell’ufficio presidenziale e nelle altre stanze, e varie automobili ferme sul piazzale antistante: prova irrefutabile che Perón e i suoi collaboratori si trovavano sul posto.
Nel frattempo, nello Arsenal Naval, il Batallón de Infantería de Marina 4 che avrebbe dovuto compiere l’attacco terrestre contro la sede del governo, terminava la sua preparazione sotto lo sguardo attento del suo comandante, il capitán de fragata Juan Carlos Argerich. Secondo i piani stabiliti, i marines dovevano concentrarsi vicino al Ministero per poi marciare da lì verso l'obiettivo, dopo che la Aviación Naval (arma aerea della marina argentina) avesse portato a termine il bombardamento del palazzo del governo. Allo stesso tempo, elementi civili appartenenti ai “comandi rivoluzionari” anti-Peronisti avrebbero occupato posizioni su tetti e altri luoghi identificati precedentemente, e sarebbero stati pronti ad entrare in azione con l’inizio delle ostilità.
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Juan Carlos Argerich |
Alle otto in punto, come era sua abitudine, il presidente Perón arrivó in ufficio salutando i membri del suo stato maggiore, i generali José Humberto Sosa Molina, ministro della difesa; Franklin Lucero, ministro dell’esercito; Carlos Jáuregui, capo del Servizio Informazioni dello Stato; l’ammiraglio Gastón Lestrade, il brigadier Juan Ignacio San Martín e il mayor Alfredo Máximo Renner, suo segretario privato.
Subito dopo, seduti intorno al tavolo delle riunioni, i militari passarono ad occuparsi dei punti principali all’ordine del giorno, fra i quali, la delicata situazione dei rapporti con la Chiesa Cattolica e il volo in onore alla bandiera nazionale che la Fuerza Aérea (aeronautica militare argentina) aveva in programma per quella mattina. Ignoravano che un’insurrezione era già cominciata nella vicina base aeronavale di Punta Indio a sud-est di Magdalena.
La tensione era fortissima al ministero ribelle, quando arrivò la notizia che il capitán de fragata Jorge Alfredo Bassi aveva preso possesso dell’aeroporto internazionale di Ezeiza, nel quale s’era posizionata la Compañía Nº 5 de Infantería de Marina con tutto il suo armamento.
All’Arsenal Naval il capitán Argerich, l’elmetto in testa, con appese le sue granate e i binocoli sul petto, la pistola alla cintola, finì di passare in rassegna le sue truppe imbracciando il fucile mitragliatore; e, dopo aver scambiato una parola con gli ufficiali e i sottufficiali al suo comando, si rivolse ad essi con voce ferma:
“Spero che saprete onorare la vostra patria e il vostro comandante. Montate!” (1)
Come per un riflesso condizionato i marines argentini salirono sui camion parcheggiati di fronte all’edificio, per dirigersi verso il Ministerio de Marina, preceduti da una jeep.
Intanto, a Punta Indio, i capitanes de fragata Osvaldo Guaita e Néstor Noriega stavano effettuando gli ultimi preparativi per lanciare l’attacco aereo, e informarono il Ministerio de Marina con un messaggio in codice.
Erano le 09:46 di quella terribile mattina.
Il fermento alla base aeronavale era onnipresente, con un andirivieni di ufficiali e sottufficiali che trasmettevano e ricevevano ordini, i meccanici che effettuavano gli ultimi controlli e il personale di terra impegnato nel rifornimento di carburante. Nelle cabine di pilotaggio degli aerei i piloti e gli equipaggi attendevano l’ordine di partenza, tesi, concentrati e attenti a ciò che i loro tabulati indicavano.
Quattro minuti dopo, la
torre di controllo emise la tanto attesa direttiva e, quasi immediatamente, i
cinque bimotori Beechcraft AT-11
iniziarono a rullare sull’asfalto, in direzione della pista. Seguendo i
segnali del personale di terra, gli aerei ribelli presero posizione
all’estremità sud del campo e rimasero in attesa dell’autorizzazione al
decollo. A seguito di essi, lo stesso fecero venti monomotori North American
AT-6, al comando del capitán de corbeta Santiago Sánchez Sabarots. Ciascuno era
armato con due bombe da kg 50 e mitragliatrici.
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Le armi della marina ribelle: un North American T-6 (monomotore) in formazione con un Beechcraft AT-11 |
Gli ordini erano chiari e definitivi: uccidere il presidente Juan Domingo Perón.
Giunse l’autorizzazione al decollo.
Il Beechcraft immatricolato 3B-3 del capitán de corbeta Jorge Imaz, dando la potenza massima, cominciò a rullare acquistando velocità fino a levarsi in volo e perdersi nel basso manto di nubi che copriva la regione. L’aereo portava come puntatore-bombardiere il teniente de corbeta Alex Richmond, lo stesso capitano Guaita come secondo pilota, il cabo principal Roberto Nava come navigatore e il guardiamarina Miguel Ángel Grondona come aggregato soprannumerario.
Erano le dieci della mattina di quel freddo giorno d’inverno, c’era poca visibilità e non si percepiva movimento in quel settore della provincia, ad eccezione della pioviggine che cadeva sui campi.
Dietro al capitán Imaz decollò il bombardiere matricola 3B-4, al comando del teniente de navío Carlos J. Farguío, con il comandante della base, capitán Néstor Noriega come puntatore, il teniente de corbeta Roberto Moya come navigatore e il sottufficiale José Radrizzi come aggregato. Erano seguiti, uno dietro l’altro, dal 3B-11 al comando del teniente de navío Jorge Irigoin, coadiuvato dal teniente de fragata Augusto Artigas come secondo pilota, dal teniente de corbeta Santiago Martínez Autín come puntatore e dal sottufficiale meccanico Francisco Calvi come assistente; poi dal 3B-6 pilotato dal teniente de fragata Alfredo Eustaqui, con el teniente de corbeta Hugo Adamoli come puntatore e i sottufficiali Girardi e Maciel in qualità di assistenti; e infine dal 3B-10 del teniente de fragata Alberto del Fresno; il puntatore del quale era il teniente de corbeta Carlos Corti, e suoi assistenti i sottufficiali Mario Héctor Mercante e Ricardo Díaz.
Immediatamente dopo i bombardieri si dispiegarono gli AT-6, pilotati dal capitán de corbeta Santiago Sánchez Sabarots, dai tenientes de navío Héctor “Tito” Florido Alsina, Eduardo Velarde e Héctor Orsi; dai tenientes de fragata Raúl Robatto, Heriberto Frind e Carlos García; dai tenientes de corbeta José M. Huergo, Julio Cano, José Demartini, Eduardo Invierno, Luis Suárez e Máximo Rivero Kelly e dai guardiamarinas Arnaldo Román, César Dennehy, Juan Romanella, Héctor Cordero, Sergio Rodríguez, Horacio Estrada e Eduardo Bisso.
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Ore 10:30. Il dado è tratto |
I venticinque aerei (Escuadrilla Aeronaval Nº 3 al comando del capitán Guaita) guadagnarono quota senza problemi e, superata la cappa di nubi, fecero prua verso la capitale federale perseguendo il loro obiettivo rivoluzionario: erano decisi a farla finita con Perón e metter fine al suo regime.
A quel punto però, fonti governative avevano già rilevato che stava accadendo qualcosa di anomalo e iniziavano ad allertare tutte le unità, mettendo in atto il piano CONINTES (Conmoción Interna del Estado. Agitazioni interne allo stato) volto a reprimere ogni tentativo sedizioso.
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La Avenida Colón. Sullo sfondo, l'imponente Edificio Libertador e le torri della Aduana (Dogana); in primo piano la Casa Rosada, sede del governo (circa 1950). |
Alla base aerea di Morón, dove era stanziato il Grupo 3 de Caza della VII Brigada Aérea (della Aeronautica Argentina), il comandante, comodoro Carlos Alberto Soto, ignorava che molti suoi piloti, alcuni dei quali designati a compiere la parata aerea in onore alla bandiera, sopra Buenos Aires, stavano solo aspettando il momento opportuno per disertare e cavalcare l’onda della sollevazione militare. Il gruppo ribelle era capeggiato dal maggiore Agustín Héctor de la Vega, il quale attendeva impaziente l’arrivo del capitano Julio César Cáceres, che era il collegamento con i militari sediziosi della Marina argentina.
Soto, completamente ignaro di ciò che stava succedendo, decollò per un volo di ricognizione, allo scopo di verificare personalmente la visibilità con la quale si poteva effettuare il volo di celebrazione della bandiera. Quando sì trovò all’altezza della Avenida General Paz ricevette un messaggio urgente, che lo richiamava immediatamente alla base.
Giunto a terra, gli notificarono che era entrato in vigore il piano CONINTES. Sceso dall’aeroplano, si diresse di fretta al suo ufficio, dove ricevette un messaggio del brigadier Juan Fabri, comandante in capo dell’aeronautica argentina, il quale gli comunicava che tutti i voli su Buenos Aires erano proibiti, perché ci si attendeva un attacco.
Soto rimase molto perplesso. Gli avevano appena detto che la capitale federale sarebbe potuta essere bombardata e che doveva stare allerta e prepararsi ad entrare in azione. Tuttavia in dubbio, egli chiese se avrebbe dovuto procedere all’abbattimento di aerei nemici; e rimase molto sorpreso quando il brigadier Fabri gli rispose di sì. Molto turbato, ma senza perdere la calma, Soto ordinò di suonare l’allarme e di approntare quattro caccia a reazione Gloster Meteor per intercettare possibili aerei nemici.
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Morón: schieramento di Meteor |
Il personale della base era impegnato nelle sue attività, quando giunse il brigadier Mario Emilio Daneri, accompagnato da altri ufficiali. Daneri aveva avuto istruzione di assumere il comando della difesa aerea e di adottare tutte le misure necessarie per contrastare l’imminente attacco alla capitale.
“È arrivato il momento di dimostrare quello che siamo capaci di fare. Confido nella lealtà di tutti voi verso l’autorità costituita e vorrei che ora la dimostraste”, arringò i suoi Daneri. E, non aveva ancora terminato di parlare, quando una nuova telefonata del brigadier Fabri gli confermò l’ordine di decollare e abbattere ogni velivolo che sorvolasse Buenos Aires.
Fabri non aveva aggiunto altro.
Lo Aeroparque Metropolitano e lo Aeropuerto Internacional de Ezeiza furono subito chiusi, e un volo commerciale proveniente da Colonia fu obbligato a tornare indietro.
Mentre si svolgeva tutto ciò, la squadriglia d’attacco ribelle, agli ordini del capitán de fragata Guaita, era giunta a Buenos Aires e aveva iniziato ad orbitare sopra il Río de la Plata, nella speranza che le condizioni meteorologiche migliorassero.
Come presidente della nazione e comandante in capo delle forze armate, Perón, il “primer mandatario” avrebbe forse dovuto farsi carico personalmente della soppressione della rivolta. Preferì invece delegare il comando al generale dell’esercito Lucero e mettere la sua persona al sicuro.
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Il generale Franklin Lucero |
Lucero convocò i principali capi militari a una riunione urgente presso il Ministerio de Ejército(2), dopo la quale dispose la mobilitazione dello storico Regimiento de Granaderos a Caballo “General San Martín” , che dal 1903 aveva in carico la custodia e la protezione del presidente della nazione; e ordinò l’attivazione del potente Regimiento Motorizado “Buenos Aires”, missione del quale sarebbe stata la difesa del grande Edificio Libertador, dipendenza del palazzo del governo.
Allo stesso tempo, si posero in stato d’allerta tutte le forze militari, compresi i pompieri e la polizia; e fu ordinata la mobilitazione di tutti i reggimenti vicini alla capitale, a difesa del governo.
Di minuto in minuto, un pesante clima di tensione si stava impadronendo dei palazzi, perché si sapeva che aeroplani ostili si stavano dirigendo verso la città e che si stavano facendo preparativi febbrili per estendere la rivolta e coinvolgervi anche la Escuela de Mecánica de la Armada (Scuola di Tecnica della Marina Militare argentina); il che rendeva imperativo adottare tutte le misure necessarie per proteggere la sede del governo.