Neanche in Slovacchia

I cattolici che vogliono impegnarsi in politica dovrebbere tenere bene a mente  cosa rispose Gesù a Ponzio Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». (Gv 18,36).

Il seguente breve saggio di Aliaksandr Piahanau, studioso di origine russa dell'Università di Tolosa in Francia, illustra bene come un prete cattolico, rappresentante in terra di Cristo, il quale si è immolato per noi tutti e ci ha mostrato la via verso un regno extraterreno, si esponga e debba combattere un conflitto culturale su molti fronti, senza speranza di successo, contro chiunque ragioni nei termini terreni di razza, nazionalità, democrazia e cittadinanza, persino quella di uno stato liberal-democratico. A padre Jozef Tiso, sacerdote cattolico e presidente dell'effimera prima repubblica indipendente slovacca, dal 1939 al 1945, l'impegno politico costò la vita.

L'attento lettore cattolico saprà leggere fra le righe di questa relazione storica "scientifica".  

Di seguito, troverete un articolo sulla Slovacchia indipendente, durante la Seconda Guerra Mondiale, e sui difficili rapporti fra essa e il suo potente alleato tedesco. 

Lo scrittore americano Tom Wolfe, nel suo libro "Le ragioni del sangue", dice bene che quando non si crede più in niente, nemmeno in Dio, si ritorna appunto al sangue, cioè alla razza. Padre Tiso, da ardente sostenitore della monarchia asburgica cattolica e imperiale, cioè multietnica e sovranazionale, dovette difendersi davanti a un tribunale comunista, e cioè presumibilmente "internazionalista", per non essere stato slovacco abbastanza e, allo stesso tempo, non abbastanza cosmopolita. 

Non ci sono enclaves del Regno dei Cieli sulla terra. Neanche in Slovacchia.

 

 

 

Dove sono? Cosa sta succedendo qui? Pietosamente, mi permetto d’avvicinarmi (ai soldati feriti), e uno mi mostra il suo braccio strappato e si lamenta: “Come faranno i miei due piccoli bambini? Un altro, che è stato ferito al naso da un proiettile, agita le braccia e chiede acqua: io potei a malapena porgli un pezzetto di zucchero in bocca, che gli schiumava di sangue.

Tiszó József, 23 agosto 1914, battaglia di Krasnik.[1]

 

 Jozef Tiso: slovacco prudente o moderato nazionalista magiaro?

di Aliaksandr Piahanau (Traduzione di L. Pavese)

Il sacerdote cattolico Jozef Tiso (1887-1947) è più comunemente noto come presidente, fra il 1939 e il 1945, della Repubblica Slovacca, il primo stato slovacco indipendente. Tiso è stato probabilmente il personaggio storico più discusso in Slovacchia negli ultimi due decenni. Le discussioni s’incentrano sulle responsabilità politiche di Tiso durante la crisi di Monaco del 1938, e specialmente durante la seconda guerra mondiale, quando la Slovacchia divenne un satellite tedesco. La conseguente campagna antisemita promossa dallo stato, e la deportazione di ebrei slovacchi ai campi di sterminio, finirono per macchiare la figura del presidente Tiso.[2]

 

Padre Jozef Tiso

Solitamente, Jozef Tiso viene studiato nel contesto delle sue attività nel movimento autonomista slovacco, dopo il 1918. Lo stesso Tiso segnò la data d’inizio della sua carriera politica nel 1918, quando s’iscrisse al Partito Popolare Slovacco (in Slovacco: “Slovenská ľudová strana”, da qui in poi: SĽS), e si presentò pubblicamente come “patriota slovacco”.

Tiso scalò rapidamente la gerarchia del partito, e presto fu alla guida del suo gruppo nel parlamento cecoslovacco (quando lo SL’S entrò nella coalizione di governo, fra il 1927 e il ‘29, Tiso servì anche in qualità di Ministro della Salute).

L’influenza di Tiso nel partito aumentava con l’invecchiare del leader dello SL’S, Padre Andrej Hlinka.

Nell’ottobre del 1938, due mesi dopo la morte di Hlinka, Tiso divenne il capo dell’autonoma Slovacchia, nella Ceco-Slovacchia ora “federalizzata”. Nell’autunno seguente fu eletto presidente della Slovacchia indipendente.

Ma Tiso era stato attivo in politica anche prima del 1918. Infatti, per molti anni aveva cooperato col più grande partito cattolico del Regno d’Ungheria, il Partito del Popolo o, in ungherese, “Néppárt[3]. Nonostante altri patrioti slovacchi, compreso lo stesso Padre Hlinka[4], avessero cooperato con il Néppárt già dagli inizi del XX secolo, il coinvolgimento di Tiso nelle attività del partito ungherese, nel 1910, fece sí che gli fossero mosse varie accuse negli anni a venire: Tiso fu accusato di essere un Mad’aron (cioè che si autoidentificasse e si considerasse realmente un magiaro). Questa accusa in particolare ebbe un peso considerevole durante il suo processo cecoslovacco del 1946, durante il quale si cercò di dimostrare la "torbidità" politica di Tiso e il suo “tradimento” della Cecoslovacchia negli anni dal 1938 al 1945. Dichiarato colpevole, Tiso fu giustiziato il 18 aprile 1947[5]

 


 

Benché alcuni storici siano convinti che, prima del 1918, J. Tiso fosse più propenso a considerare sé stesso un “magiaro”[6], o a fingere di esserlo, altri studiosi sostengono che si fosse sempre identificato con le aspirazioni nazionali slovacche[7].

Entrando nel dibattito, il presente saggio si propone di esplorare le identità sfaccettate del giovane Jozef Tiso.

Evitando di ridurre questo argomento alla sola componente etnico-nazionale, ci siamo sforzati di scoprire se, nell’identità personale di Tiso, ci fossero stati altri aspetti importanti. Benché Tiso abbia rivelato pubblicamente le sue “tendenze” filo slovacche solo alla fine della Grande Guerra, abbiamo cercato di far luce sugli aspetti della sua identità durante i primi anni di guerra, e su come essa fu influenzata dal conflitto in corso. Avendo investigato l’importanza che l’identità nazionale avesse per Tiso, prima della fondazione dello stato cecoslovacco, noi sosteniamo che, al pari di altri attivisti cattolici delle regioni multietniche e poliglotte di confine dell’Europa centrale[8], Tiso fosse piuttosto ambivalente o addirittura privo di un'identità etnica: fosse cioè una persona che si rifiutasse di considerarsi permanentemente membro di una specifica nazione, e che dava priorità invece ad un’altra appartenenza più antica. Sembra infatti che il giovane Tiso sostenesse, prima e soprattutto, una sua identificazione di classe religiosa e sovranazionale: cioè quella di sacerdote cattolico dell’Impero Asburgico.

 


 

Tale visione del mondo di tipo “nazional-indifferente”, come la storica statunitense Tara Zahra sostiene in modo convincente, era un fenomeno largamente diffuso nel tardo regno Asburgico. Cionondimeno, questo atteggiamento soffrì molto le conseguenze dell’espansione delle ideologie nazionaliste, durante e dopo la Grande Guerra, e la conseguente creazione di stati nazionali sulle rovine dei vecchi imperi. Quando le comunità regionali furono esposte alle politiche di “nazionalizzazione” imposte dall’esterno, ognuno fu giocoforza costretto a scegliere la propria appartenenza nazionale e a mantenerla per sempre. Di conseguenza, un’auto-identificazione nazionale ambigua fu, da quel momento in poi, percepita come illegittima e propria dei rinnegati[9].

Come questo saggio dimostrerà, durante i primi tempi della Prima Guerra Mondiale, Josef Tiso (o “Tiszó József”, come di solito si firmava, all’ungherese, all’epoca), si comportò da leale patriota della Doppia Monarchia, e si astenne dall’enfatizzare troppo le sue origine slovacche e la sua cittadinanza ungherese. Al contrario, Tiso espresse regolarmente la sua lealtà all’Imperatore e Re Francesco Giuseppe e all’Austria-Ungheria; e durante tutto il corso della Grande Guerra sostenne con fermezza la sua patria imperiale. Esprimendo approvazione per le ostilità contro l’Intesa, Tiso le giustificava con motivazioni patriottiche e religiose. Egli era convinto che la Monarchia agisse per legittima difesa e che, anzi, essa stesse compiendo una missione speciale, (l’autore probabilmente intendeva dire missione divina. ndt. Questa posizione era diffusa fra il clero asburgico e condivisa dall’alta gerarchia ecclesiastica cattolica)[10].

Josef Tiso aveva dimostrato la sua fedeltà alla causa della “Giusta Guerra” dell’Impero, arruolandosi nei ranghi delle truppe Imperiali e Reali (cosiddette “k.u.k.”: kaiserlich und königlich, cioè Imperiali e Reali), e scrivendo anche numerosi articoli di giornale. La sua esperienza militare fu abbastanza breve: mobilitato nel 1914 come cappellano militare campale, Tiso fu congedato l’anno seguente.

La parte più dura del suo servizio militare la svolse in Galizia, durante i primi due mesi della guerra, quando Tiso fu testimone delle prime battaglie sul fronte Austro-Russo. Il giovane cappellano registrò le sue impressioni dal fronte sul suo diario personale, che fu poi pubblicato col titolo: “Diario dal fronte settentrionale” (in ungherese: “Napló az északi harctérről”) sul settimanale del Partito del Popolo Nyitramegyei Szemle (Rassegna della Contea di Nitra) durante tutto il 1915[11]

 

1914. Austro-ungarici e tedeschi in marcia verso est.

 

 

Questo diario è una fonte unica che ci aiuta a far chiarezza sulle posizioni di Tiso all’inizio della Grande Guerra. Il diario fu certamente rivisto, prima della sua pubblicazione; cionondimeno il suo contenuto offre ancora molte delucidazioni su come Jozef Tiso percepisse il crollo del mondo che lo circondava, e il suo ruolo in esso.

Quando si confronta il diario con l’affidavit[12] che Tiso fornì agli inquirenti Cecoslovacchi, nel marzo del 1946, riguardante le sue attività, pubbliche e personali[13], prima del 1918, sorgono le seguenti domande:

Come percepiva Tiso la guerra, i suoi nemici, le sue vittime e la propria posizione?

Quali erano le questioni più scottanti, secondo lui?

In che modo la guerra condizionava il suo senso d’appartenenza?

Benché l’affidavit del 1946 sia ovviamente segnato dal desiderio di Tiso di dimostrare la propria “slovacchía” al tribunale cecoslovacco, e contenga una certa quota di volontaria disinformazione, il documento fornisce molti interessantissimi dettagli biografici, che Tiso rivela circa la  sua vita prima del 1918, compresa la sua cooperazione col Nyitramegyei Szemle.

Il buon prete Tiszó prima e dopo la Prima Guerra Mondiale

Jozef Tiso era nato il 13 ottobre 1887 in Nagy Biccse [ ora: Veľká Bytča], una cittadina nell’angolo nord-occidentale del Regno d’Ungheria: la metà orientale della Doppio Regno asburgico. Come rivelò Tiso nel 1946, la sua famiglia era fra le più ricche in Nagy Biccse. I suoi genitori erano slovacchi e cattolici. La famiglia apparteneva alla stretta cerchia amica del prete locale, molto attivo politicamente: Jozef Teselský (in ungherese: József Teszelszky), il quale Tiso apostrofava, nonostante tutto, come “Mad’aron”.


Lampeggia e tuona sui Monti Tatra...

 

 

Tiso sosteneva che i suoi genitori non conoscessero l’ungherese per nulla, ma che egli avesse appreso i rudimenti di quella lingua, così come le nozioni di grammatica tedesca e slovacca, alla scuola primaria negli anni seguenti. Tiso continuò la sua istruzione linguistica, prima, nella vicina città di Zsolna, [Žilina], poi, dall’età di quattordici anni[14], al seminario Piarista (degli Scolopi) di Nyitra [Nitra], il quale si trovava all’interno dell’area di lingua slovacco-magiara.

Essendo stato notato subito come studente intelligente, talentuoso e diligente, il quale apprendeva sia l’ungherese che il tedesco molto bene, dopo aver conseguito il diploma nel 1906 Tiso fu raccomandato presso il prestigioso Collegium Pázmáneum di Vienna, che era il seminario principale dei candidati teologici ungheresi.

La vita nella capitale viennese ebbe un effetto profondo sul giovane studente. L’Austria stava per introdurre il suffragio universale maschile, e il palcoscenico politico di Vienna era occupato dalla competizione fra il Partito Sociale Cristiano, i Socialdemocratici, vari gruppi nazionalisti e su di esso si scorgevano già gli albori dell’antisemitismo politico.

Trent’anni dopo, Tiso ricordava che, fra suoi professori del Pázmáneum quello che lo influenzò più profondamente fu Padre Ignaz Seipel, un importante uomo politico cattolico (che fu anche Cancelliere austriaco negli anni ‘20).

Tiso fu ordinato sacerdote nel 1910, e l’anno seguente conseguì il dottorato in teologia. Gli studi a Vienna introdussero padre Tiso allo stile di vita e ai conflitti ideologici della monarchia asburgica, e allo stesso tempo rafforzarono le sue abilità linguistiche. (Tiso imparò a parlare correntemente il tedesco, l’ungherese e il latino). Egli fu anche introdotto nell’élite ecclesiastica imperiale, seppur al suo più basso livello[15].

A partire dal 1910, sino all’estate del 1914 Tiszó prestò servizio in tre piccole città dell’alta Ungheria: Oscad [Oščadnica], Rajecz [Rajec] and Bán [Bánovce nad Bebravou]. Anche come sacerdote, egli rimase in contatto quasi permanente con altri cattolici impegnati in politica e con la principale organizzazione politica cattolica ungherese: il Néppárt.

Durante quegli anni, Tiszó si impegnò vigorosamente nelle iniziative sociali locali di aiuto alla popolazione di lingua slovacca, quali le casse di risparmio, le cooperative e dando lezioni pubbliche. Queste attività però, potrebbero anche non essere considerate come prove di una “presa di consapevolezza” slovacca da parte di Tiszó. Infatti, studi recenti hanno dimostrato che la chiesa cattolica dell’alta Ungheria, a parte le accuse di pan-slavismo da parte dei nazionalisti ungheresi, avesse pochissima scelta per quanto riguarda svolgere le sue attività in lingua slovacca, per poter svolgere il suo ministero presso la popolazione locale. In altre parole, la lingua usata dalla chiesa potrebbe difficilmente essere considerata come una prova di lealtà verso la nazione slovacca[16].

Addirittura, l’entusiasmo col quale Tiszó lavorava per salvaguardare la cultura slovacca locale potrebbe anche essere considerato un aspetto di una campagna cattolica antisemita.

Come ha dimostrato lo storico slovacco Miloslav Szabó portando l’esempio della contea di Nyitra degli inizi del XX secolo, la fondazione di associazioni cristiane fu spesso una risposta agli appelli per una “messa in pratica dell’antisemitismo’”, fenomeno che coinvolse anche forze di opposizione quali gli attivisti del Partito del Popolo e i nazionalisti slovacchi. Per esempio, la fondazione delle locali banche di credito cooperativo, e altre cooperative, era diretta contro gli ebrei i quali parassitavano la popolazione cristiana autoctona offrendo denaro in usura e alcol[17]. Secondo questa interpretazione, le attività di Tiso fra il 1910 e il 1914 rivelerebbero poco riguardo la sua consapevolezza etnica.

Prima del 1918, a parte il suo ministero cristiano, Tiszó fu anche un giornalista molto produttivo. La prima serie dei suoi articoli, pubblicati nel febbraio e nel marzo del 1913, furono dedicati alla diffusione dell’abuso di alcol fra gli slovacchi di entrambi i sessi. La serie di otto articoli intitolati, in slovacco: “To i to o alkohole” (Di tutto un po’ sull'alcol; Pensierini sull’alcool) apparve sul settimanale Krest’an (Il Cristiano): l’organo ufficiale in lingua slovacca del Partito del Popolo ungherese. L’alcolismo, sosteneva Tiso, aveva un effetto nefasto sulla salute degli slovacchi, contribuiva alle malformazioni dei nascituri e conduceva all’impoverimento e al declino della religiosità[18]. La cosa interessante di questi saggi è il modo nel quale Tiso rappresenta il problema dell’abuso di alcol. Da un lato descrive “la nostra slovacchía” (“Naša Slovač”) e la “nostra gente” (“Náš lud”) come vittime dell’alcolismo, e dall’altro considera responsabili di tutto ciò lo “stato onnipotente e i tavernieri ebrei” (“všemohúci Štát a židia-krčmári”).

Perciò,  secondo Tiso, la lotta contro l’abuso di  alcol potrebbe essere vista, almeno in parte, attraverso il filtro di un conflitto etnico-religioso:  cattolici slovacchi contro giudei. Tiso sosteneva che i tavernieri ebrei fossero protetti dallo stato e dal Partito Liberale, allora al governo. Presumibilmente, le fazioni al governo ricavavano un profitto dall’avvelenamento alcolico della popolazione e, in tempo di elezioni, i tavernieri facevano campagna elettorale per i Liberali. Secondo  Tiso, lo stato, il governo e il partito al potere, insieme agli ebrei, erano i nemici degli slovacchi[19]. 

In generale, questa opinione non era rara fra il milieu cattolico dell’alta Ungheria; e il settimanale Krest’an tradizionalmente aveva dedicato tante sue pagine a vari articoli “antisemiti”, che denunciavano un “complotto giudeo-massonico” ai danni dell’Ungheria cattolica[20].

Dopo la mobilitazione generale, agli inizi del 1914, Tiso s’arruolò nell’esercito regolare austro-ungarico il quale era visto da tutti, per usare le parole dello storico ungaro-statunitense István Deak, come “la più importante istituzione ultra-monarchica del regno”[21]. Perdipiù, Tiso, il quale, come tanti altri preti cattolici era stato mobilitato come cappellano da campo, fu arruolato come membro del corpo ufficiali che, a sua volta, potrebbe essere considerato come una casta profondamente leale alla corona. E perciò, nell’autunno del 1914, essendo un sacerdote cattolico e un ufficiale dell’esercito del regno, Tiso era già membro di due istituzioni cruciali, le quali sostenevano energicamente l’unità dell’Impero e la solidarietà sovranazionale.

 

Austro-ungarici sul fronte del Piave

 

Come sostiene lo storico austriaco Ernst Bruckmüller, entrambe codeste istituzioni, il corpo congiunto di ufficiali e la chiesa cattolica erano le due istituzioni più importanti della società asburgica, le quali cercavano di minare alla base tutti i tentativi di divisione su base nazionale che erodevano la stabilità dell’Austria-Ungheria dall’interno[22].

A differenza di molti reparti dell’Esercito k.u.k., il 71esimo Reggimento di Fanteria Trencsén [Trenčín], nel quale Tiso fu commissionato,era piuttosto omogeneo. I suoi ranghi e le sue fila provenivano principalmente da tre contee dell’Ungheria settentrionale (Trencsén, Túróc [Turiec] and Arva [Orava]). Lo 85% degli effettivi era slovacco, rendendo così il 71esimo Reggimento la più slovacca delle unità dell’esercito imperiale[23]. Ma mentre gli ufficiali erano principalmente austriaci e parlavano tedesco fra di loro, lo slovacco era la lingua delle istruzioni. Come Tiso ricordava nel 1946, durante il servizio militare nel 71esimo Reggimento : “...non parlavamo ungherese, perché non c’era nessuno con cui parlarlo”[24].

Nel mese d’agosto, il reggimento prese parte all’attacco della Polonia Russa, durante il quale incontrò le prime difficoltà proprie di un conflitto moderno. Però, quando l’esercito austro-ungarico perse la Battaglia di Lemberg (Lviv) agli inizi di settembre, il reggimento si ritirò sul fiume San, presso il quale tentò di fermare l’avanzata russa. Poi, agli inizi di ottobre del 1914, le truppe austro-ungariche k.u.k. andarono alla controffensiva; ma da lì a poco a Tiso fu diagnosticata una nefrite e fu mandato nelle retrovie. Come lo storico slovacco Ivan Kamenec fece malignamente notare, questa parentesi di due mesi di predicazione in Galizia furono il massimo dell’esperienza di guerra accumulata dal futuro comandante supremo delle forze armate slovacche[25].

Per quanto breve sia stato, e nonostante i privilegi di un ufficiale (compresi un attendente personale e un cavallo) e il suo stato di non combattente, il servizio militare di Tiso non fu tuttavia agevole e fu colmo delle difficoltà e degli orrori della guerra.

Tiso registrò le sue esperienze nel suo libro del 1916 Il prete al fronte (“A pap a harctéren” in ungherese). Egli descrive come il cappellano da campo celebrasse la messa per il reggimento, confessasse i soldati, si prendesse cura degli infermi, seppellisse i morti e portasse a termine anche compiti amministrativi (per esempio, la registrazione dei caduti).

La parte più impegnativa del suo servizio si svolgeva durante il combattimento. Il cappellano pregava coi soldati prima che andassero in battaglia; poi aiutava le unità mediche ad occuparsi dei feriti e confessava i morenti. Quando la battaglia era finita, il cappellano aiutava a seppellire i morti, spesso in fosse comuni. Se il reggimento doveva avanzare o ritirarsi immediatamente dopo la battaglia, aggiunge Tiszó, i soldati morti venivano lasciati sul campo, insepolti[26].

Il 71esimo Reggimento di Tiso attrasse attenzione in almeno due occasioni, durante la Prima Guerra Mondiale: la prima volta nell’agosto del 1914, durante la battaglia di Kraśnik, nella Polonia russa. Il reggimento dimostrò coraggio, disciplina e spirito di sacrificio. Il reggimento perse metà degli ufficiali e più di duecento uomini nello spazio di pochi giorni[27]. L’eco del comportamento eroico dei soldati slovacchi sui campi di battaglia della Galizia risuonò in lungo e in largo sui giornali di lingua tedesca e magiara (per esempio i seguenti: Reichspost, Die Neue Zeitung, Alkotmány, Nagyszombat és Vidéke, Liptó, Vágvölgyi Lap)[28]. Però, la determinazione militare del Reggimento Trencsén scemò col progredire della guerra; e verso la fine del conflitto, nel giugno del 1918, quando il reggimento si trovava presso la città serba di Kragujevac, i soldati slovacchi si ribellarono. Apparentemente, i soldati rifiutarono l’ordine di trasferirsi sul fronte italiano. Questi episodi dimostrano l’indebolimento della lealtà dei soldati slovacchi ( e non solo) nei confronti dell’Ancien régime col progredire della guerra: se, all’inizio del conflitto, gli slovacchi erano considerati dall’intelligence militare come l’etnia più fidata dell’esercito imperiale al fronte[29], alla fine della guerra erano diventati la componente più infìda delle truppe asburgiche[30].

Nessuno più dell’élite asburgica e del clero cattolico austro-ungarico aveva più chiara in mente, sin dall’inizio del conflitto, la prospettiva di una disciplina in declino fra le truppe asburgiche di etnia mista ( e nella società in generale ). Riflettendo su questa possibilità, nel maggio del 1915, il vescovo di Albareale (Székesfehérvár in Ungheria), Mons. Otokár Procházka, che era un’eminente personalità anche nel movimento politico cattolico ungherese, si chiedeva, nel suo diario:

“Come è possibile avere un esercito privo di coscienza nazionale, che non è né tedesco, né magiaro e nemmeno slovacco![31]” Eppure, anche Mons. Procházka il quale, come Tiso, era d’origine slovacca, dopo la Grande Guerra divenne un nazionalista magiaro.

L’evoluzione della lealtà di Tiso verso la monarchia pare aver seguito un percorso simile, ma in una direzione diversa: da sostenitore ardente dell’impero multietnico austro-ungarico e della sua vittoria, egli divenne promotore di uno stato ceco-slovacco su base etnica quattro anni dopo.

 

Il Beato Carlo I d'Austria, ultimo imperatore, con la moglie Zita di Borbone-Parma

 

 

Impressioni dal diario di Josef Tiso sul fronte settentrionale nella Grande Guerra.

Come Tiso ricordò nel 1946, egli aveva tenuto annotazioni scritte durante il suo servizio militare in Galizia, che usò per i suoi articoli pubblicati sul settimanale cattolico della contea di Nyitra Nyitramegyei Szemle[32]. Le prime note del diario apparvero sul settimanale nel gennaio del 1915. Durante quel periodo, Tiso era stato anche distaccato presso la guarnigione di Komárom [Komárno], in Slovacchia, dove rimase sino al febbraio del 1915, quando fu congedato per convalescenza. A partire dall’agosto del 1915, Tiszó prestò servizio in Slovenia per alcune settimane, ma presto lasciò l’esercito definitivamente grazie all’assegnazione di due cattedre di insegnamento nella Nyitra. Colà Tiso divenne un insegnante alla scuola media dei Piaristi. Inoltre, gli venne affidata la carica di direttore spirituale del seminario diocesano. Il Dottor Lajos Franciscy, proprietario ed editore del Nyitramegyei Szemle, era anche il rettore del seminario della Nyitra[33]; questa seconda nomina potrebbe essere ipoteticamente collegata al relativo successo della pubblicazione del diario.

Anche quando il settimanale terminò la pubblicazione del suo diario, Josef Tiso continuò a collaborare regolarmente con la rivista sino al maggio del 1916. Tiszó rimase nella Nyitra fino alla fine della guerra, diventando sempre più impegnato in politica. Nel tardo 1917, egli si iscrisse persino al ramo cittadino del partito Néppárt, capeggiato dallo stesso editore Franciscy[34].

Tutti gli articoli di Tiso pubblicati prima del dissolvimento del Duplice Impero nel 1918 apparvero nella stampa del Partito del Popolo. Ma, se nel 1913 pubblicava in Slovacco, fra il 1914 e il 1917 Tiszó appose il suo nome ad articoli in ungherese, mentre i suoi articoli in slovacco apparvero anonimi[35]. Tiszó contribuì principalmente al Nyitramegyei szemle con una serie di saggi: il suo “Diario dal Fronte Settentrionale” fu il più lungo. Nella sua versione pubblicata consisteva in cinquantatré parti, che apparvero proprio sotto gli editoriali su quasi tutti i numeri della rivista dal gennaio 1915 al gennaio del 1916. Come fa notare lo storico László Vörös, il diario di Tiso fu la più lunga serie di articoli dal fronte pubblicata in un periodico di lingua magiara dell’alta Ungheria[36].

Il diario racconta più di due mesi del servizio militare di Tiso al 71esimo Reggimento Trencsén dell’esercito k.u.k., ed inizia con la mobilitazione dell’agosto del 1914. La prima data registrata è quella dello 8 agosto. L’ultima è quella del 18 ottobre 1914, data nella quale Tiso lasciò il suo reggimento per andare in convalescenza.

Tiszó incentrò la sua narrazione principalmente su tre grandi avvenimenti: l’offensiva austro-ungarica vittoriosa d’agosto, sino a Lublino; la disastrosa ritirata verso il fiume San e la nuova controffensiva d’ottobre.

Perché Tiso scrisse il diario? Nella prima parte del suo Napló (pubblicata nel gennaio 1915), egli sostiene di aver voluto testimoniare gli eventi della guerra. Tiso afferma che l’idea di registrare la sua vita militare gli fosse venuta nel momento in cui il berretto da soldato gli era stato calato in testa, durante la mobilitazione d’agosto. Tiszó dice che il diario sia basato sulle sue impressioni personali e sulle informazioni che aveva ricevuto dalle unità mediche, alle quali era affiliato. Inoltre, egli paragona il suo giornale a un “diario di viaggio” che descrive il cammino spirituale di un uomo invischiato nelle difficoltà, nei pericoli e nelle calamità della guerra[37].

Un anno dopo però, quando l’ultima nota del diario era stata pubblicata, il tono di Tiso era mutato. Era diventato meno personale e più “collettivo” e patriottico. Nell’ultima parte del Napló, pubblicata nel gennaio del 1916, Tiso afferma che lo scopo del diario era glorificare gli sforzi immani, e i sacrifici fisici e morali che tutti gli uomini fecero compiendo il proprio dovere. “I loro nomi dureranno per sempre, e il tempo non distruggerà il loro ricordo”: è questa l’ultima frase del diario[38].

Trent’anni dopo, nel 1946, testimoniando di fronte agli inquirenti cecoslovacchi Tiso ammise che il diario era stato redatto su richiesta dell’editore della Nyitramegyei Szemle, Franciscy. Tiso ammise persino che le sue pubblicazioni su quella rivista avevano lo scopo di ingraziarsi certi “circoli magiari”[39]. Lo storico slovacco Ivan Kamenec suggerisce che, grazie a questi regolari contributi patriottici alla Nyitramegyei Szemle, Josef Tiso godesse della fiducia e dell’appoggio del vescovo di Nyitra e del governo locale[40]. È lecito supporre che gli articoli di Tiso per la rivista fossero anche retribuiti. Infine, non si può escludere un possibile collegamento fra la comparsa del diario di Tiso sulla rivista di Franciscy e l’apporto di quest’ultimo nell’offerta di una nomina a Tiszó per il Gran Seminario, nell’autunno del 1915, che gli procurò il congedo dal servizio militare[41].

Nel Napló, Tiso fornì tantissime informazioni fattuali. Il suo racconto segue i movimenti della sua unità militare. Il giovane cappellano militare prestava attenzione ai luoghi attraversati dal reggimento, alla gente che incontravano (abitanti del luogo, profughi o prigionieri di guerra russi) e anche se ci fosse stata una chiesa o meno. Tiszó registrò anche una conversazione che aveva avuto con alcuni sacerdoti cattolici polacchi.

Di solito, egli dà anche informazioni sul tempo, specialmente se faceva freddo o se pioveva. Le condizioni fisiche e di salute, la mancanza di sonno (disturbato dai combattimenti, dalle marce, dal freddo, dai pidocchi o dai ratti) sono un’altra parte importante del diario.

Il Napló contiene anche fatti probanti relativi a certe battaglie. La descrizione del primo scontro sostenuto dal reggimento, che ebbe luogo vicino a Krasnik nella Polonia russa, è molto vivido, realistico ed emozionante. Tiszó registrò non solo le sofferenze dei feriti, ma anche due casi di panico nel suo reggimento[42], durante la battaglia; e il massacro compiuto in un villaggio del luogo dai suoi commilitoni[43].

Allo stesso tempo, il Napló descrive le attività professionali di Tiszó in modo piuttosto caotico. Anche se le sue funzioni erano principalmente religiose, durante i suoi due mesi di servizio al 71esimo Reggimento Tiszó raramente celebrò la Santa Messa per i soldati: tre volte in agosto, (il 9, il 18 e il 20) e tre volte a settembre (il 23 e due volte il 27) e mai in ottobre[44]. Come confermato dal diario, per la maggior parte del tempo, a parte le poche ore di sonno, il cappellano Tiszó seguiva il reggimento attraverso i territori russi e austriaci.

Che cosa pensava Tiszó della guerra?  Leggendo i suoi contributi alla stampa si nota un suo modo diverso di esprimere le proprie opinioni; e come esse si siano evolute. Nel suo Prete al Fronte Tiszó scrive che: “probabilmente nessuno potrebbe spiegarsi in modo semplice il perché stiano patendo tali sofferenze spirituali e materiali![45]” Dopo questa affermazione, però, l’atteggiamento di Tiszó verso la guerra divenne molto patriottico, ed egli rimase fedele alla monarchia durante tutto il periodo in questione.

Nelle annotazioni agli inizi dell’agosto del 1914 scriveva che: “[...] tutti pronunciavano il proprio giuramento credendo che la vittoria fosse certa e che sarebbe stata conseguita presto...pronti a morire per il re e la patria.[46]

Secondo Tiso, l’Austria-Ungheria era impegnata in una “giusta guerra”[47]. In un’altra annotazione, egli augurava il successo alla monarchia e ai suoi alleati, perché avrebbe assicurato, secondo le sue parole; “ la vittoria della verità e dell’ordine morale.[48]

Tiso sostenne la sua posizione patriottica e pro-asburgica in tutte le pagine seguenti del diario. L’annotazione del 1⁰ Ottobre contiene la frase: “Ogni patriota dovrebbe sacrificarsi per la patria su ordine del re.[49]” In altre note Tiszó definisce l’esercito k.u.k. un “esercito eroico[50]” e i suoi caduti martiri ed eroi[51]. Parole quali “sacrifico” e “martiri” non erano nel vocabolario di Tiso per caso. Come ci si può aspettare da un sacerdote, egli dava alla guerra un’interpretazione “ecclesiastica”. In un’annotazione di mezzo agosto Tiso scrive che era stata la Provvidenza divina (in ungherese:Gondviselés) a consigliare il comando k.u.k. nell’iniziare la guerra: “I manifesti della mobilitazione sono apparsi solo due settimane fa, e oggi siamo già presso le soglie della Russia”[52].



Ventotto anni dopo. Bf. 109 E Slovacco sul fronte orientale



A parte le sue annotazioni bellicose nel diario, Tiso però non si risparmiò le critiche agli alti comandi imperiali, anche se le critiche non andarono mai in profondità. Per esempio, quando il corpo ufficiali del suo reggimento occupò la casa di un membro del clero per stanziarvicisi, Tiszó scrisse, protestando,che “questa dimora, dove uno prima elaborava i piani per la salvezza delle anime e la cura delle persone, sarà, da qui in avanti, il centro di un andirivieni sanguinolento, il che grida vendetta ed esige ancor più sangue”[53].

Inoltre, Tsizó era molto scettico riguardo alle informazioni che il comando k.u.k. trasmetteva alle sue truppe, specialmente se esse riguardavano successi militari delle Potenze Centrali. Tiso asserisce che le informazioni non fossero sempre veritiere, e che ciò fosse intenzionale, per mantenere alto il morale dei soldati[54]. Per esempio, egli dubita fortemente che la grande ritirata degli asburgici dalla Galizia, nel settembre del 1914, fosse un’operazione preordinata. Quando i comandanti dichiararono che l’esercito k.u.k. aveva sconfitto i russi nella grande battaglia di Lemberg, e preso 200.000 prigionieri, Tiszó scrisse che: “con nostra sorpresa, non godiamo degli effetti di questa splendida vittoria, e ci stiamo ancora ritirando, ora come prima.[55]

Tiso fece anche alcune osservazioni molto più critiche riguardo la dura realtà della guerra. Soprattutto,il giovane prete era scioccato dagli orridi danni e dalla sofferenza che la guerra stava causando. Dopo la prima vera battaglia che il suo reggimento combatté, Tsizó descrive nel diario molto realisticamente i soldati sanguinanti, mutilati di armi e braccia o con i volti feriti. Nel suo diario si chiede: “ Dove sono? Che cosa sta succedendo qui?[56]

Il giorno dopo, quando Tiszó visitò i feriti, apparentemente non poté liberarsi da questi bui pensieri: “...quanta giovane energia tarpata giace qui, quanti uomini che portavano il pane a casa, orgoglio e gioia delle loro famiglie, sono qui ad aspettare la morte![57]

I toni contro la guerra salgono ancor più quando Tiszó descrive gli atti di brutalità dell’esercito russo. Dopo aver scritto che i cosacchi avevano fatto a pezzi un intero reparto da ricognizione del suo reggimento, Tiso afferma che:  “La brutalità della guerra può solo incrementare la ferocia umana. Si fracassa e si distrugge tutto ciò che è stato costruito nel corso di secoli di duro lavoro; la mente delle persone travisa l’assassinio, il quale prima era considerato un crimine che comportava una punizione, ma ora è considerato eroismo, per il quale ci si aspetta un premio.[58]

Tiszó però approva le severe misure che l’esercito asburgico prende contro determinati civili, come ad esempio la requisizione di vettovaglie o di proprietà privata[59]. Inoltre, non trova "sconveniente" che ogni civile che venga trovato vicino ad un esercito in avanzata sia immediatamente arrestato come spia (il che potrebbe portare ad una condanna a morte)[60].

Il più scioccante esempio dell’approvazione, da parte di Tiszó della spietata giustizia militare è il caso della distruzione della cittadina di Bystrzyca, nella Polonia russa. Stando a lui, qualcuno aveva sparato dal villaggio sulle truppe k.u.k. in avanzata, uccidendo un soldato. Per tutta risposta, l’esercito austriaco circondò il villaggio e lo bruciò, e tutte le persone che cercavano di fuggire furono abbattute. Tiso scrive:

“L’esercito giudica i suoi nemici rapidamente, senza curarsi di quanti innocenti moriranno con il colpevole, perché le circostanze straordinarie non permettono un’indagine più approfondita.[61]

E come rappresentava Tiszó gli antagonisti nel conflitto? A livello semantico, li divide in due categorie del tempo di guerra: “noi” e “i nostri nemici”. La linea di demarcazione fra i due gruppi è fluida, e i civili potrebbero essere descritti come una categoria transitoria, che non si trova necessariamente fra i “noi”, ma neanche fra “i nostri nemici”.

Fra i vari gruppi sociali, Tiszó si riferisce più di frequente ai “russi”, ai “cosacchi” e ai “polacchi”. Ma come egli intendesse il “noi” non sempre è chiaro. Riferendosi a individui, Tiszó quasi mai li chiamava per nome, ma usava invece etichette etno-professionali: “un prete polacco”; “un capitano”; “un colonnello”; “ebrei”; “cosacchi”. Fondamentalmente, per descrivere una persona o un gruppo, Tiso forniva un insieme di diversi identificatori sociali: nazionalità, origine, etnia, religione così come professione e classe sociale.

Fra i nemici, Tiszó descrive i russi, e specialmente i cosacchi, nel modo più particolareggiato. In quanto non-combattente, Tiso si era confrontato direttamente con loro solo in cattività. Tiso conobbe un prigioniero cosacco per la prima volta il 16 agosto 1914. Apparentemente, Tiso provò compassione nei confronti di quel “pallido e debole giovane [...] che assomiglia ad uno dei nostri e forse sembra ancor più miserevole.[62]

In ogni caso, col prosieguo del conflitto, Tiso tese a rappresentare il regime e l’esercito dei Romanov come meno civilizzati e più dispotici. Tiszó accusò i russi di violare le Convenzioni di Ginevra (questo è un errore, non se di J. Tiso o dell’autore dell’articolo: le Convenzioni di Ginevra non c’erano, durante la Grande Guerra. L. Pavese). Le leggi di guerra proibivano l’uso della forza contro i non-combattenti (civili, personale medico, religiosi e prigionieri). Le unità sanitarie, notava Tiso, erano spesso sotto tiro; prigionieri austro-ungarici e civili erano stati anche trucidati dai russi[63].

L’argomento del comportamento dei russi nella Galizia austriaca occupata era di particolare importanza per Tiszó. Egli racconta che i cosacchi, nella loro avanzata nella Galizia[64], bruciavano le città e i villaggi. Tiszó registra regolarmente che i russi praticavano la requisizione forzata, e persino che i soldati zaristi derubavano i civili, prendendogli il cibo, i vestiti e le scarpe[65].

Nell’ottobre del 1914, quando il 71esimo reggimento transitò attraverso i territori liberati della Galizia, Tiso nota che i russi avevano persino derubato una chiesa. e perciò arriva alla seguente conclusione: “In verità, non c’è da meravigliarsi se, quando arrivano notizie che i russi stanno avanzando, tutta la gente e i preti scappino”[66].

In un altro villaggio liberato egli nota che: “gli abitanti si lamentavano molto dei russi, definendoli comuni criminali, che non erano venuti a combattere ma solo a saccheggiare.[67]

Descrivendo le truppe russe, Tiszó tenta di stimarne la forza militare. Da un lato, racconta vari episodi che dovrebbero dimostrare la debolezza dell’esercito zarista: per esempio, quando i cosacchi erano stati mandati davanti all’esercito per acquistare la carne.Egli interpreta questo come un segno della carenza russa di vettovaglie[68]. Quando nota che i corpi abbandonati dei caduti zaristi nelle trincee non hanno le scarpe, ciò lo porta a pensare che i russi siano mal equipaggiati[69]; e quando le forze k.u.k. catturano un soldato russo diciottenne, Tiszó arriva alla conclusione che i russi debbano essere in difficoltà, per aver mandato al fronte un ragazzo così giovane[70].

D’altra parte, Tiszó non nasconde che i russi abbiamo combattuto con coraggio, che abbiamo buone fortificazioni[71] e che la loro artiglieria sorpassi per potenza quella della k.u.k.[72]

Dopo la battaglia di Krasnik, Tiszó scrive che: “Finora, abbiamo solo sottovalutato e denigrato i russi, che batteremo con facilità. Ma la resistenza che ci hanno opposto ha dimostrato che sono, almeno, nemici d’onore.[73]

Per quanto concerne i civili, siano essi stati sudditi asburgici o dei Romanov, Tiso mette i polacchi e gli ebrei in due categorie diverse. Egli esprime simpatia per i primi, ma non apprezza i secondi. Tiso ripete varie volte, e con evidente piacere, che i polacchi sono seriamente religiosi cattolici e che persino nei loro poveri villaggi costruiscono nuove chiese. Facendo notare che il regime zarista nella polonia russa non sia molto popolare[74], Tiszó cita vari sacerdoti cattolici polacchi, i quali non vedevano l’ora di essere liberati dall’esercito asburgico. Egli così conclude: “Gli elementi più colti, i preti polacchi prima di tutti, cambierebbero molto volentieri padrone.[75]

Nell'agosto del 1914, Tiszó annotava che i polacchi russi ritenevano benvenuto l’esercito k.u.k. [76]Con molto piacere, aveva sentito dire a un prete polacco, vicino al confine austro-russo, che “lui augurava la morte ai russi, così come gliela auguravano i viennesi o gli abitanti di Budapest”[77]. Un altro prelato confermó a Tiszó che i polacchi del Regno del Congresso stavano pregando per il successo delle forze asburgiche, nella speranza che portasse ad una riunificazione della nazione polacca smembrata. E il prete aggiunge: “Preghiamo con zelo per la vittoria della Monarchia”[78].

A differenza degli articoli d'anteguerra di Tiszó, il Napló non criticava apertamente gli ebrei. Soltanto nell’ultima annotazione, che descrive il ritorno di Tiszó dal fronte, egli svergogna i “parassiti” delle retrovie[79], intendendo, probabilmente, gli ebrei[80]. Cionondimeno, l’atteggiamento generale verso gli ebrei, nel Napló è alquanto distaccato.

Le interazioni di Tiszó con gli ebrei erano ridotte al minimo: egli si avventura ad avvicinare gli ebrei soltanto quando ha bisogno di qualcosa (per esempio, cibo o un alloggio)[81]. In ogni caso, quando Tiszó descrive i polacchi o gli ebrei vi scorge un fattore comune: entrambi i gruppi erano stati maltrattati dai russi.

Il 9 settembre Tiszó registrava le parole di un sacerdote polacco, il quale diceva che i cosacchi: “...sono una genía spietata e sanguinaria,” e “odiano i polacchi più di tutti, dopo gli ebrei.[82]

I civili però, secondo Tiso, non gradivano sempre la presenza dell’armata k.u.k. Al culmine dell’avanzata austriaca nel Regno del Congresso polacco,nel settembre del 1914, Tiszó annotava: “Man mano che avanziamo nell’interno della Russia, la popolazione diventa sempre più diffidente e fugge dai villaggi.[83]” Inoltre, dove marcia il 71esimo Reggimento, gli abitanti locali si nascondono nelle loro case[84], per paura delle requisizioni[85].

Alcuni incidenti crudeli vengono registrati da Tiszó, nel corso della battaglia di Krasnik. Il 27 agosto, cita l’esempio di una cittadina incendiata a partire dai due lati opposti,sia dagli asburgici che dalle truppe dei Romanov. Gli abitanti, scrive Tiszó: “se questi poveri diavoli non perdono la vita, perdono i loro averi e i focolari delle loro famiglie; perdono tutto, essendo probabilmente completamente innocenti!” Lo[86] stesso giorno, quando egli attraversa il villaggio di Bystricza, bruciato dai suoi commilitoni, la visione agli abitanti inginocchiati che chiedono pietà , lo spinge a scrivere un commento sul suo diario:

“ Li fissiamo con compassione, impotenti; ma non osiamo pensare a cosa farebbero queste persone temporaneamente impaurite, se cedessero al loro desiderio di vendetta, nel caso di una nostra possibile ritirata.[87]

Col proseguimento della guerra, Tiso notava la diminuzione del prestigio delle truppe austro-ungariche fra i civili. Quando l’esercito del k.u.k. rientra nel Regno del Congresso, nell’ottobre del 1914, Tiszó osserva un voltafaccia nei sentimenti polacchi verso gli Asburgo; “ Ogni segno ci conferma che i loro cuori adesso sono più favorevoli alla causa russa,” scrive il 14 di ottobre. Gli abitanti locali cercano di far capire di non aver bisogno di “essere liberati” dai Romanov, ma invece che le truppe del k.u.k. dovrebbero liberare i polacchi asburgici[88]. Tiszó afferma persino che la Russia stia guadagnandosi anche un certo appoggio in Galizia. Egli fornisce l’esempio di una guardia forestale che ammette con gioia la possibile annessione della sua regione alla Russia. Tiso considera la povertà la causa delle simpatie filo-russe di certi Galiziani. “Paupertas maxima meretrix est” (la miseria è la più grande prostituta), scrive, aggiungendo che “[...] le spie sono infatti assoldate fra questa povera gente, che pochi rubli lucidati conducono al tradimento”[89]. In quel momento, Tiso provò ripugnanza per i sudditi dell’Austria-Ungheria che dimostravano slealtà verso il loro sovrano e la dinastia regnante.

Le identità sociali di Tsizó: le loro intersezioni, contraddizioni e limitazioni.

Non è facile attribuire a Jozef Tiso un’identità etnica o nazionale prima del 1918. Gli elementi salienti dell’identità magiara del giovane Tiso indicano il fatto che, prima del 1919, Jozef Tiso scrivesse il suo nome nella sua forma ungherese: “Tsizó,” anche quando scriveva in slovacco. Apparentemente però, anche se suo padre si chiamava Tiso, il prete del luogo Telesky aveva emesso, per il giovane Jozef, un certificato di nascita in una versione talmente magiara dall’obbligare Tsizó a usare quest’ultima forma “ufficiale” del suo nome anche negli anni a venire[90]. Inoltre, prima del 1918, Tiso non aveva mai sostenuto, almeno apertamente, di essere slovacco. Nei suoi rapporti sociali, Tsizó mantenne le distanze dagli attivisti slovacchi del luogo. Già in Nagy Biccse, la sua famiglia, e lui stesso, avevano boicottato i nazionalisti slovacchi vicini al medico locale[91]. Quando studiava a Vienna, Tiso non disse niente riguardo ai problemi culturali e politici della Slovacchia [92] e, quando fu mandato a predicare a Bán, egli prese le distanze dall’avvocato del luogo, il Dottor Janko Jesensky, noto allora pubblicamente come un “panslavista,[93]” il quale divenne dopo un famoso scrittore slovacco.

D’altra parte, al Pázmáneum Tiso aveva dichiarato “slowakisch” essere la sua  madrelingua e dopo, fra la sua laurea e la Grande Guerra, predicò e pubblicò articoli non solo in ungherese ma anche in slovacco[94]. Lo storico Michal Potemra suggerì che la condotta di Tsizó fosse la caratteristica sociale dei cauti e quieti intellettuali di origine slovacca, i quali non erano tutti necessariamente dei “Mad’arons”[95].

La pratica di nascondere la propria “autentica” identità nazionale e di far finta di appartenere ad un’altra etnia era nota a Tiso; nonostante ciò egli riconobbe questa “duplicità etnica” molto più tardi. Nell’ottobre del 1938, quando Tiso era diventato il capo del governo slovacco, durante i negoziati di Komárno egli confermò ai diplomatici ungheresi che “per esperienza personale sapeva che, sotto il regime precedente, molti slovacchi avevano temporaneamente preso le distanze dalla propria razza e dichiaravano di essere magiari”[96].

Nel suo affidavit del 1946, anche Tiso confermava di aver nascosto le sue origini etniche prima del 1918. E che quindi, durante il suo professorato a Nitra, fra il 1915 e il ‘18, si era sforzato di prevenire ogni sospetto circa i suoi sentimenti filo-slovacchi:

“Dovevo fare attenzione a me stesso, per evitare sospetti che fossi un panslavista (o nazionalista slovacco, A.P.); perché allora era molto facile bollare come “attivisti culturali” i Pan-Slav, e coloro che erano dichiarati tali venivano spediti in un villaggio sperduto e privati di ogni possibilità di svolgere una qualunque attività...Se lui (cioè il superiore di Tiso, il vescovo Batyáni) avesse saputo che ero slovacco, non mi avrebbe nominato Spirituale [direttore spirituale al Seminarium di Nyitra, A.P.]”[97]

Gli scritti di Tsizó pubblicati prima del 1918 ci permettono di far chiarezza sul come lui vedesse la posizione degli slovacchi in Ungheria. Apparentemente, gli slovacchi erano più poveri, meno istruiti; e i soldati slovacchi combattevano persino meno coraggiosamente dei magiari[98].

Cionondimeno, mentre Tiso s’impegnò per migliorare la situazione degli slovacchi, non denunciò mai il nazionalismo magiaro, ma condannò invece la corruzione nello stato, gli abusi della polizia, i sistemi anti-democratici del governo e il capitalismo giudaico.[99]

Se infatti il suo obbiettivo era quello di aiutare il popolo slovacco contro lo stato “magiaro”, le sue critiche erano tuttavia sempre nascoste fra le righe.

Lo storico slovacco Róbert Letz congetturò che, nel suo diario, Tiso facesse un parallelo fra l’immagine dei polacchi oppressi e “russificati” dal regime zarista, e gli slovacchi “magiarizzati” dell’Ungheria.[100]

Certamente, in un suo articolo nel numero di maggio 1916 della rivista Nyitramegyei szemle, Tiszó manifestò affezione per l’idea di promuovere la cultura slovacca. Nell’articolo, Tiso si augurava un aumento delle pubblicazioni disponibili in slovacco; tuttavia, secondo lui, il pericolo insito nella carenza di buoni libri (cioè cattolici) in slovacco, non stava tanto nella “magiarizzazione” della cultura (che peraltro Tiso non citava) quanto nella possibilità che gli slovacchi si rivolgessero verso libri d’origine luterana tradotti nella loro lingua.[101]

Nonostante l’attenzione di Tiso verso i problemi degli slovacchi sia evidente, la sua posizione nei confronti del nazionalismo slovacco e magiaro non è chiara. Non è possibile dare una risposta definitiva al quesito se Tiszó collocasse sé stesso nella cornice di qualche categoria etnico-nazionale prima del 1918.

Essendo forse troppo cauto per affermare apertamente la sua identità slovacca, non vi è prova che Tiso avesse mai sostenuto con convinzione di essere un magiaro (eccetto durante l’ambiguo censimento del 1910). Pare che egli, come tanti altri attivisti cattolici, fosse a favore dello spirito della Legge sulla Nazionalità ungherese del 1868 che recitava testualmente:

[...] tutti i cittadini dell’Ungheria formano una nazione nel senso politico: l’indivisibile nazione ungherese, della quale ogni cittadino è un membro in misura eguale, indipendentemente dalla sua etnia.[102]

Durante la Grande Guerra Tiso dichiarò:

“Non mi trovavo d’accordo con l’interpretazione magiara della questione delle minoranze etniche. Non ho mai considerato uno slovacco, un rumeno, un croato, un serbo o un tedesco come magiari che parlassero un’altra lingua. Considero una persona di un’altra nazionalità come membro di un altro gruppo etnico ma, allo stesso tempo, un cittadino ungherese.[103]

Anche se l’affidavit di Tiso è chiaramente caratterizzato dal suo desiderio di smarcarsi dal nazionalismo magiaro, sembra probabile che egli si considerasse di etnia slovacca (cosa che non esclude il suo sostegno a una “magiarizzazione”); ma apparentemente non attribuiva a ciò grande importanza.

Probabilmente, le ragioni della sua “inconsapevolezza nazionale” potrebbero essere spiegate, almeno in parte, dalla contraddizione naturale fra l’universalismo e la natura sovranazionale del cattolicesimo, e gli ovvi assunti esclusivisti di ogni nazionalismo. [104]

Forse l’ambiguità etnica di Tiso potrebbe anche essere stata motivata dal suo poliglottismo. Come sostiene la studiosa Tara Zahra, la conoscenza di varie lingue era una caratteristica degli individui “nazional-indifferenti” nell’Europa Centrale della prima metà del XX secolo.[105] La capacità di Jozef Tiso di esprimersi non solo in slovacco e ungherese, ma anche in tedesco e latino potrebbe essere stata un importante fattore psicologico, che era d’ostacolo a una stretta fedeltà verso la nazione slovacca o magiara.

Se, quindi, Tiso era rimasto inizialmente freddo verso gli appelli nazionalisti, qual’era la sua vera identità? Come dimostrano le annotazioni nel suo diario galiziano, la sua posizione ecclesiastica giocò il ruolo più importante nella percezione che Tiszó aveva di sé. 

Nelle pagine del suo diario Tiso si autodefinisce un “prete di reggimento”, (“ezred tábori lelkésze,[106]” “ezred papjá[107]) o “prete cattolico” (“katholikus pap”). In una sua nota sul diario si definisce “prete cattolico dell’Ungheria” (“magyarországi katholikus pap[108]), riferendosi allo stato, ma non all’etnia.

A prescindere dal suo ruolo ecclesiastico, nel suo diario Tiszó tende a esprimersi come un patriota dell’Austria-Ungheria, fedele al suo capo Francesco Giuseppe. La sua fedeltà verso la monarchia austro-ungarica è più importante rispetto alla sola Ungheria. Per esempio, attraversando il confine fra l’Austria e l’Ungheria, nella metà d’agosto del 1914, Tsizó annotò piuttosto freddamente: “ Avevamo lasciato i Carpazi (cioè l’Ungheria,AP) e poi velocemente galoppammo sulle pianure della Galizia (cioè in Austria,AP)[109]. Ma quando attraversò la frontiera Austro-Russa il 23 d’agosto le sue espressioni sì fecero più eccitate:

“In tempo di pace, si attraversa quasi con reverenza la frontiera di un altro paese, questa volta non è la stessa cosa: non è un viaggio turistico ma un’invasione armata!” [110]

Dopo il suo ritorno in Austria-Ungheria il 12 settembre, Tiso condivide nel suo diario il senso generale di sollievo del suo reggimento:

“Un profondo sospiro emanò dai petti di molti. Grazie a Dio, siamo a casa!” [111]

Nel Napló, Tiso si riferisce all’Austria-Ungheria come all’entità politica ideale. Il giovane prete si augura che la Monarchia possa superare i suoi conflitti etnici interni, grazie anche alla solidarietà nata nelle trincee della Grande Guerra. Il 3 ottobre, descrive i lavoratori che stanno ricostruendo un ponte.

“Quasi tutte le genti del Regno sono sul ponte crollato, e andiamo tutti d’accordo gli uni con gli altri.”

Quando scrive che qui i sudditi tedeschi, magiari, slovacchi e rumeni della Monarchia “stanno insieme aiutandosi l’un l’altro come fratelli”, si augura che quella fraternità duri anche dopo il conflitto. Perché, si chiede, questa cooperazione dovrebbe essere impossibile in tempo di pace?[112] E qui Tiso rivela la sua lealtà totale verso la Monarchia, la quale, secondo noi, sorpassa la mera cittadinanza ungherese. Questo atteggiamento somiglia molto al “nazionalismo multi-etnico” (allo scopo di riunire tutti i cristiani asburgici, ad esclusione agli ebrei) che lo storico Miloslav Szabó ha identificato fra gli attivisti cattolici slovacchi.[113]

Per finire, quando Ernst Bruckmüller forniva esempi di diverse “società asburgiche” sovranazionali faceva notare che tale identificazione “ultra-monarchica” era perlopiù diffusa fra i seguenti gruppi: la nobiltà, il corpo degli ufficiali subalterni, i diplomatici e gli altri burocrati della k.u.k., la chiesa cattolica, gli abitanti di Vienna, i contadini e gli ebrei.[114] Jozef Tiso non era ovviamente un ebreo, e nemmeno un nobile o un diplomatico; ma potrebbe essere messo in relazione ad un’altra categoria: era un prete cattolico, nato in una famiglia di contadini, il quale aveva ricevuto un’istruzione universitaria a Vienna ed era stato un ufficiale dell’esercito della k.u.k.

In conclusione di questo articolo, possiamo confermare che il diario di Tiso rivela diverse caratteristiche della personalità del suo autore. Il diario (così come altre pubblicazioni sulla stampa vicina al Néppárt) dimostrano che Tiszó si riteneva lontano dalle fratture etniche ungheresi, e enfatizzava i tratti comuni fra gli austro-ungarici e i cattolici.

In generale, l’identità sociale di Tsizó nel 1914 - 1915 comprendeva varie categorie intersecantesi: era un cattolico, un sacerdote, un militare, un simpatizzante slovacco, un cittadino ungherese e un suddito asburgico. Ciascuna di queste identità coesisteva con le altre e poteva emergere momentaneamente come una sua maschera sociale dominante.

L’articolo sottolinea come Tiso provasse un forte attaccamento affettivo alla Doppia Monarchia nella sua intierezza. Forse ciò era dovuto alla prevalenza di un’atmosfera pro-asburgica nella chiesa cattolica e nelle forze armate imperiali, i due bastioni della stabilità dell’Impero del Danubio. Perciò, quando la monarchia crollò, nel 1918, l’entrata in crisi di ogni lealtà politica pro-asburgica divenne inevitabile. Visto che Tiso precedentemente non aveva mai manifestato una particolare affezione per “l’Ungheria storica”, la sua improvvisa comparsa in pubblico come slovacco potrebbe anche essere vista non solo come un esempio di opportunismo, ma quasi come un’evoluzione naturale.

Una migliore comprensione della personalità di J. Tiso e delle sue identità sociali durante la Grande Guerra potrebbe essere utile per far luce sull’atteggiamento degli intellettuali della Slovacchia nel tardo impero asburgico.[115]        

 

Per citare questo articolo:

Aliaksandr Piahanau, « A Priest at the Front. Jozef Tiso Changing Social Identities in the First World War  », Revue des études slaves, LXXXVIII-4 | 2017, 721-741.


Riferimenti elettronici:

Aliaksandr Piahanau, « A Priest at the Front. Jozef Tiso Changing Social Identities in the First World War  », Revue des études slaves [En ligne], LXXXVIII-4 | 2017, mis en ligne le 25 avril 2019, consulté le 11 novembre 2021. URL : http://journals.openedition.org/res/1324 ; DOI : https://doi.org/10.4000/res.1324

 

Ogni vostro commento, come sempre, sarà molto gradito.

Grazie,

L. Pavese

 


 

 



[1] Tiszó József dr., “Napló az északi harctérről,” Part XI, Nyitramegyei szemle, XXIII évf., 13. szám, 28 March 1915, p. 2; Miroslav Fabricius, Ladislav Suško (eds.), Jozef Tiso. Prejavy a články. (Jozef Tiso. Discorsi e articoli) Zv. 1. (1913-1938), Bratislava, Academic Electronic Press, p. 31.

[2] Jan Rychlik, “Jozef Tiso: My Enemy – Your Hero?”, (Jozef Tiso: Per me un nemico - Per te un eroe?) in: Michal Vit, Magdalena M. Baran (eds.), Transregional versus National Perspectives on Contemporary Central European History. Studies on the Building of Nation-States and Their Cooperation in the 20th and 21st Century, (Punti di vista transregionali contro l'idea di nazione nella Storia Europea Contemporanea del centro-Europa. Studi sull’edificazione degli stati nazionali e la cooperazione fra essi nel XX e XXI secolo), Stoccarda, ibidem-Verlag, 2017, p. 189-214.

[3] Il partito (ungherese: Magyarországi Néppárt) fu costituito nel 1894, in parte come una reazione cattolica contro le “riforme” liberali del 1890 in Ungheria, (cioè, l’introduzione della libertà di culto, del matrimonio civile e della registrazione, ma anche il riconoscimento ufficiale del Giudaismo).

Il Néppárt fondamentalmente si opponeva all’azione di governo del Partito Liberale tuttavia, fra il 1905 e il 1910, e nel periodo 1917 - 1918, prese parte a coalizioni di governo. A parte gli attivisti cristiani magiari, del partito facevano anche parte preti cattolici e rappresentanti di minoranze etniche, fra i quali gli slovacchi. La condotta del partito era nella mani della nobile famiglia dei Zichy, i membri della quale (i conti Nándor Zichy, poi János Zichy, e più tardi Aladár Zichy) presiedettero il partito dal 1894 sino alla sua dissoluzione nel 1918.

La cooperazione iniziale con le minoranze etniche era basata sulla lotta comune contro l’implementazione della legge ungherese sulle nazionalità del 1868, la quale garantiva eguaglianza di diritti civili per tutti i cittadini ungheresi, senza distinzione di etnia e idioma.

Politici slovacchi cattolici importanti quali i Padri  Andrej Hlinka, František Jehlička e Ferdiš Juriga furono membri temporanei del Partito del Popolo, finché non giunsero alla conclusione che i capi del Néppárt non proteggessero abbastanza i diritti agli slovacchi, e lasciarono il partito. Nel 1911, Hlinka, Juriga e Jehlička fondarono il Partito del Popolo Slovacco.

[4] Cioè il Partito Nazionale Slovacco (in slovacco: “Slovenská národná strana”). Il più grande e antico partito etnico slovacco, che era tradizionalmente dominato dai luterani. Appoggiò il Néppárt nelle elezioni parlamentari del 1896, ma negli anni seguenti la cooperazione cessò.     

[5]  Konstantin Čulen, Po Svätoplukovi druhá naša hlava. Život Dr. Jozefa Tisu, (Il nostro secondo leader dopo Svatopluk l. Vita di Jozef Tiso), Bratislava, Garmond, 1992, p. 46-49.

 

[6] James Mace Ward, Priest, Politician, Collaborator. Jozef Tiso and the Making of Fascist Slovakia, (Prete, uomo politico, collaborazionista. Jozef Tiso e l’edificazione della Slovacchia fascista). Ithaca – London, Cornell University Press, 2013, p. 21-29.

 

[7] Ivan Kamenec, Tragédia politika, kňaza a človeka (Dr. Jozef Tiso 1887-1947) (La tragedia della politica. Il prete e l’uomo), Bratislava, Premedia, 2013, p. 22; Róbert Letz, “Vývin slovenského povedomia u Jozefa Tisu do roku 1918,” (Lo sviluppo della consapevolezza slovacca in Jozef Tiso fino al 1918) in : Valerián Bystrický, Štefan Fano (eds.), Pokus o politický a osobný profil Jozefa Tisu. Zborník materiálov z vedeckého sympózia Častá-Papiernička, 5-7 mája 1992, (Un tentativo di profilo politico e personale di Jozef Tiso. Atti del Simposio Scientifico Častá-Papiernička, 5-7 maggio 1992) Bratislava, Historický ústav SAV, 1992, p. 44-61.

 

 

[8] James E. Bjork, Neither German nor Pole. Catholicism and National Indifference in a Central European Borderland, (Né tedesco né Polacco. Cattolicesimo e indifferenza etnica in una terra di confine centroeuropea), Ann Arbor, University of Michigan Press, 2008.

[9] Tara Zahra, “Imagined Noncommunities: National Indifference as a Category of Analysis,” (Non-comunità immaginarie: l’indifferenza etnica come categoria d’analisi)  Slavic Review, vol. 69, no. 1, spring 2010, p. 93-119.

 

[10] Agli inizi del 1915, il Primate d’Ungheria, Arcivescovo di Strigonio (Esztergom) János Csernoch (il quale, come Tiso, era di origine slovacca) pubblicò un pamphlet intitolato La Chiesa e la Guerra, nel quale giustificava la dichiarazione di guerra austro-ungarica alla Serbia, dichiarando: “l’auto-difesa è un nostro diritto e, in queste speciali circostanze, persino il nostro dovere”. L’Arcivescovo Csernoch sosteneva dialetticamente che “noi scendiamo in guerra per poterci guadagnare una pace duratura e onorevole,” suggerendo così che il conflitto potrebbe essere visto come una lotta per il dominio mondiale da parte di un imperatore cristiano, la vittoria del quale garantirebbe la pace universale. (Vedi: J. Csernoch, Egyház és háború, Budapest, Pallas részvénytársaság, 1915).              

[11] Fabricius, Suško, Prejavy a články..., p. 17-84; Gabriela Dudeková, “Protirečivé spomienky?,” OS. Fórum občianskej spoločnosti, (Ricordi contraddittori?, ”OS. Forum della società civile”) no. 1-2, 2006, p. 102-115 

[12] Il lettore dovrebbe ricordare che, molto spesso, noi abbiamo usato la versione slovacca del diario di Tsizó ((Fabricius, Suško, Prejavy a články...Discorsi e articoli...), confrontando  le sue parti cruciali con la versione originale, in ungherese, pubblicata sulla Nyitramegyei szemle. Inoltre, per poter enfatizzare il carattere vago dell'auto-definizione etnica di Tiso, prima del 1918, usiamo in alternanza la scrittura ungherese e slovacca del suo nome.    

[13] Slovenský národný archiv v Bratislave [SNA, Bratislava], F. Nár.sud, k. 52, Zapisnica v trestnej veci proti dr. Jozefovi Tisovi, (Verbale nel procedimento penale a carico del dott. Jozef Tiso), 8 mars 1946.

[14] Kamenec, Tragédia..., p. 22-31.

 

[15] SNA, Bratislava, F. Nár.sud, k. 52, Zapisnica...; W. Lukan, “Študentské roky Jozefa Tisu vo Viedni (1906-1911)”, (Gli anni da studente di Jozef Tiso a Vienna (1906-1911)) in: Bystrický, Fano (eds.), Pokus..., p. XX.

[16] Fr. Henschel, “Religions and the Nation in Kassa before World War I,” (Religione e Nazione in Cassovia, prima della Grande Guerra),  Hungarian Historical Review, vol. 3, no. 4, 2014, p. 850-874.

 

[17] M. Szabó, “‘Because words are not deeds.’Antisemitic Practice and National Policies in Upper Hungary around 1900,” (Siccome le parole non sono fatti. Pratiche anti-semitiche e politiche nazionali nell’Alta Ungheria, intorno al 1900). Quest. Issues in Contemporary Jewish History, no. 3, July 2012, p. 164-181.

 

[18] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 7-17

[19] Ibid.

 

[20] Szabó, “Rasa, národ alebo ľud? Reflexie maďarizácie v prostredí Starej školy, slovenského katolicizmu a hlasistov”,(Razza, nazione o popolo? Riflessioni sull’ungherese...) Forum Historiae, no. 2, 2013, p. 106-110.

[21] István Deak, Beyond Nationalism: A Social and Political History of the Habsburg Officer Corps, 1848-1918, (Oltre il nazionalismo: Una storia socio-politica del corpo ufficiali asburgico), Oxford, Oxford University Press, 1990, p. 1.

[22] Ernst Bruckmüller,“Was there a ‘Habsburg society’ in Austria-Hungary?,” (Vi era una società asburgica nell’Austria-Ungheria?)  Austrian History Yearbook, no. 37, 2006, p. 1-16. Bruckmüller identifica la società asburgica come “...una classe sociale chiave, o una combinazione di gruppi sociali, la quale in effetti assicurava l’esistenza della monarchia asburgica come stato e struttura sociale”. (Ibid., p. 2) 

[23] Peter Chorvát, “Slováci v Rakúsko-Uhorskej armáde počas prvej svetovej vojny” (Slovacchi nell'esercito austro-ungarico durante la prima guerra mondiale), Vojenská osveta,  no. 2, 2014, p. 45.

[24] SNA, Bratislava, F. Nár.sud, k. 52, Zápisnica...

[25] Kamenec, Tragédia..., p. 29.

[26] Dr. József Tiszó, “A pap a harctéren”, (Un prete al fronte) Part I, Nyitramegyei szemle, 27 February 1916, p. 1-2; Ibid., Part II, 5 March 1916, p. 1-2; Ibid., Part III, 12 March 1916, p. 1-2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 89-95.

 

[27] Ward, Priest, Politician..., p. 25-31.

[28] Chorvát, “Slováci v Rakúsko-Uhorskej armáde...”, (Slovacchi nell'esercito austro-ungarico ...) p. 47; Ladislav Vörös, “The social representation of the Slovaks in the north Hungarian Magyar Regional Press in the Years 1914-1918”, (La rappresentazione sociale agli slovacchi nella stampa regionale magiara dell’Alta Ungheria, negli anni dal 1914 al 1918) Historický časopis, no. 56 (Supplement), 2008, p. 55-56.

[29] Ibid., p. 47.

[30] Marián Hronský, “Slovensko za prvej svetovej vojny a vznik Československého štátu”, (La Slovacchia durante la prima guerra mondiale e l'istituzione dello stato cecoslovacco), Historický časopis, vol. 27, no. 2, 1970, p. 262. È doveroso notare che la vecchia storiografia slovacca era incline a categorizzare i soldati slovacchi nella Grande Guerra come “sleali”, perché la popolazione slovacca della monarchia asburgica era presumibilmente oppressa dalle élite magiare e tedesche.

 

[31] Quoted in: Antal Schütz (ed.), Procházka Ottokár összegyüjtött munkái, (Raccolta delle opere di Ottokár Procházka) 22/1 kötet (Soliloquia), Budapest, Apostoli szentszék, 1929, p. 287.

 

[32] Nyitramegyei szemle (La Rassegna della Contea di Nitra). Era un settimanale politico cattolico in lingua ungherese pubblicato localmente dal 1895 al 1941. La rivista era destinata principalmente al clero cattolico della diocesi di Nitra. La Nyitramegyei szemle giocò un ruolo molto importante all’inizio del XX secolo, perché fu per breve tempo l’unico organo di stampa d’opposizione. Il tenore degli articoli rifletteva il programma del partito Néppárt, che la rivista sosteneva durante le campagne elettorali. (Michal Potemra, Bibliografia inorečových novín a časopisov na Slovensku do roku 1918, (Bibliografia di giornali e riviste in Slovacchia sino al 1918) Martin, Matica slovenská, 1963, p. 125-126). È interessante notare che la rivista fu soppressa dal governo della Slovacchia indipendente, quando J. Tiso divenne presidente. 

[33] Ward, Priest, Politician..., (Prete, uomo politico) p. 32.

[34] Ibid., p. 36.

[35] SNA, Bratislava, F. Nár. sud, k. 52, Zápisnica... Durante gli interrogatorî, Tiso rivelò che egli aveva contribuito anonimamente, con articoli di argomento religioso e non-politico, alla rivista in lingua slovacca Duchovný pastier (Pastore Spirituale).   

 

[36] Vörös, “The Social representation...,” (La rappresentazione sociale...) p. 55.

[37] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 17-18.

 

[38] Tiszó, “Napló az északi harctérről” (Diario dal fronte...), Part LIII, Nyitramegyei szemle, 23 January 1916, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 83.

 

[39] Ward, Priest, Politician..., (Prete, uomo politico...) p. 32.

[40] Kamenec, Tragédia..., p. 30.

[41] Ward, Priest, Politician..., (Prete, uomo politico...) p. 32.

[42] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 36-37.

[43] Ibid., p. 37, 39

[44] Ibid., p. 19, 25-26, 58, 61

[45] Tiszó, “A pap a harctéren – I,” (Un prete al fronte...) p. 1-2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 90

[46]  Ibid., “Napló..., – I”, Nyitramegyei szemle, 10 January 1915, p. 2. Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 18.

 

[47] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 22.

[48] Tiszó, “Napló... – XLVI”, Nyitramegyei szemle, 12 May 1915, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 75.

[49] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 66.

[50] Ibid., p. 35

[51] Ibid., p. 46.

[52] Tiszó, “Napló... – IV”, Nyitramegyei szemle, 31 January 1915, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 22.

[53]  Ibid.; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 21.

[54] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 25, 51-52.

[55] Tiszó, “Napló... – XXX”, Nyitramegyei szemle, 15 August 1915, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy...p. 54.

 

[56] Ibid., p. 31.

[57] Ibid., p. 32.

[58] Ibid., p. 35-36.

[59] Tiszó, “Napló... – XXX”..., p. 35

[60] Ibid., p. 36.

[61] Tiszó, “Napló... – XVII”, Nyitramegyei szemle, 9 September 1915, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 39.

[62] Ibid., “Napló... – VI”, Nyitramegyei szemle, 21 February 1915, p. 2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 24.

[63] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 35, 44.

[64] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 56

[65] Ibid., p. 72.

[66] Tiszó, “Napló...– XL”, Nyitramegyei szemle, 24 October 1915, p. 3; Ibid., p. 66-67.

[67] Ibid., 28 November 1915, p. 2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 73.

[68] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 62.

[69] Ibid. p. 73

[70] Ibid. p. 68-69

[71] Ibid. p. 36, 40.

[72] Ibid. p. 46

[73] Tiszó, “Napló...– XIX”, Nyitramegyei szemle, 23 May 1915, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 41.

[74] Ibid. p. 47.

[75] Tiszó, “Napló... – LI”, Nyitramegyei szemle, 16 January 1916, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 81.

[76] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 21, 29

[77] Ibid. p. 21.

[78] Tiszó, “Napló... – LI”, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 81.

[79] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 83.

[80] Secondo la descrizione dello storico Péter Bihari, la campagna “anti-semitica” acquistò vigore in Ungheria, durante la Grande Guerra, principalmente per opera dei membri del Néppárt e della sua stampa, sostenuti anche dagli iscritti al Partito per l'Indipendenza. Questi partiti d’opposizione sostenevano che il “capitale giudeo” si approfittava del popolo ungherese e delle sue forze armate. Inoltre, equiparavano i profughi ebrei che arrivavano  in Ungheria dalla Galizia ad una specie invasiva che rimpiazzava i “valenti contadini ungheresi” partiti per il fronte. (P. Bihari, “Aspects of Anti-Semitism in Hungary 1915-1918”, [Aspetti dell’antisemitismo in Ungheria, 1915-1918]. Quest. Issues in Contemporary Jewish History, no. 9, October 2016, p. 58-93).           

[81] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 20-21.

[82] Tiszó, “Napló... – XXV”, Nyitramegyei szemle, 4 July 1915, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 47.

[83] Tiszó, “Napló... – XXV”, Nyitramegyei szemle, 4 July 1915, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 47.

[84] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 34-35.

[85] Ibid., p. 35.

[86] Tiszó, “Napló... – XVII”, p. 2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 38.

[87] Ibid.; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 39

[88] Ibid., “Napló... (Diario...) – LI”, p. 2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 81

[89] Ibid., “Napló... (Diario...) – VI”, 31 January 1915, p. 3; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 22.

[90] SNA, Bratislava, F. Nár.sud, k. 52, Zapisnica... Come evidenzia lo storico Walter Lukan, Tiso manteneva un atteggiamento piuttosto flessibile anche per quanto riguarda il suo nome di battesimo: durante i suoi studi al Pázmáneum, la sua firma passò da “Jozsef Tiszó” a un più ungherese “Tiszó József;” ma un po’ più tardi la sostituì con la forma latina “Josephus Tiszó.” Vedi: Lukan, “Študentské roky...,” p. 75.       

[91] SNA, Bratislava, F. Nár.sud, k. 52, Zapisnica...

[92] Come scrisse, nelle sue memorie, un compagno di scuola di Tiso al Pázmáneum: Tiszó József [...] tenne sempre un comportamento molto tranquillo, e non disse mai niente riguardo ai problemi della minoranza slovacca.” Citato in:  “Czapik Gyula pazmanita főpap visszaemlékezése egykori intézetére,” (Le memorie di Gyula Czapik, sommo sacerdote...): appendice alla dissertazione di dottorato di Beke Margit (B. Margit, Fejezetek az újés legújabbkori elitképzéshez. A katolikus egyház szerepe a modern magyar értelmiségi elit nevelésében a bécsi Pázmáneumban, [Il ruolo della Chiesa cattolica nell'educazione della moderna élite intellettuale ungherese nel Pázmáneum di Vienna]. Akadémiai doktori értekezés, Budapest. 2010), p. 379.    

[93] SNA, Bratislava, F. Nár.sud, k. 52, Zapisnica... Nelle sue memorie, anche Jesenký registrò il boicottaggio della intelligentsia locale contro di lui. La ragione era, secondo Jesenký, che egli parlava slovacco nei luoghi pubblici, e ciò apparentemente bastava per farsi una reputazione da panslavista, nemico della terra d’Ungheria.” Vedi: Ján Jesenský, Cestou k slobode, (La strada per la libertà). Martin, Matica slovenská, 1936, p. 1-10.        

[94] Ward, Priest, Politician..., (Prete, uomo politico...) p. 21-29; Lukan, “Študentské roky...,” p. 62-75; Letz, “Vývin...,” p. 44-61.

[95] M. Potemra, “Publicistická verejná činnosť Jozefa Tisu pred rokom 1918”,(L' attività dà pubblicista di Jozef Tiso prima del 1918)  in: Bystrický, Fano (eds.), Pokus..., p. 33-43.

[96] Zsigmond László (ed.), Diplomáciai iratok Magyarország külpolitikajához. 1936-1945, vol. 2, Documenti diplomatici per la politica estera dell'Ungheria. 1936-1945, vol. 2) A Müncheni egyézmény létrejötte és Magyarország külpolitikajá. 1936-1938, (Monaco e la politica estera dell'Ungheria. 1936-1938) Budapest, Akadémiai, 1965, p. 749.

[97] SNA, Bratislava, F. Nár.sud, k. 52, Zapisnica... 

[98] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 55.

[99] Ibid., p. 96-97.

[100] Letz, “Vývin...,” p. 53.

[101] Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 97-98. 

[102] Citato in: Vörös, “The social representation...” (La rappresentazione sociale...) p. 44-45.

[103] SNA, Bratislava, F. Nár.sud, k. 52, Zapisnica..., p. 13.

[104] Henschel, “Religions and the Nation...,” (Religioni e nazione...) p. 858.

[105] Zahra, “Imagined Noncommunities...,”  p. 93-119. 

[106] Tiszó, “Napló... – I” (Diario...), p. 3.

[107] Fabricius, Suško, Prejavy, p. 18, 47; Tiszó, “Napló... (Diario...) – XXV”, p. 2.

[108] Tiszó, “Napló... – IV”, p. 2; Ibid., Part LI, p. 2.

[109] Ibid., “Napló... – III”, p. 2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 20. 


[110] Ibid., “Napló... – X”, Nyitramegyei szemle, 21 March 1915, p. 2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 29.

[111] Ibid., “Napló... – XIX”, p. 2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 52.

[112] Ibid., “Napló... XLI”, Nyitramegyei szemle, 31 October 1915, p. 2; Fabricius, Suško, Prejavy..., p. 68.

[113] Szabó, “Rasa, národ...,” (Razza, nazione...) p. 108.

[114]    Bruckmüller identifica la società "asburgica" come "...una classe sociale chiave o un'aggregazione di gruppi all'interno della società che, in effetti, assicurava la sopravvivenza della monarchia asburgica come struttura sociale portante dello stato. Vedi: “Was there a ‘Habsburg society’...,” pagina 2.      

[115] Questo articolo era stato originariamente preparato per la conferenza internazionale “Scrivere in guerra, scrivere la guerra.Soldati e civili nell’Austria-Ungheria della Grande Guerra” (svoltasi a  Parigi dal 13 al 14 ottobre 2016). Mi sento in debito verso Gabriella Dudeková, Bohumila Ferenčuhová, Dušan Kováč e Juraj Marušiak dell’Accademia Slovacca delle Scienze, James Mace Ward della Rhode Island University, ed Étienne Boisserie del National Institute for Oriental Languages and Civilizations (Inalco) per il loro contributo critico alla stesura di questa relazione, che mi ha aiutato ad affinare alcune conclusioni; mentre Mathieu Laflamme della Ottawa University e la traduttrice Alice Orlova mi hanno fatto notare qualche errore di scrittura e di grammatica.Voglio esprimere la mia più profonda gratitudine a Dinah McCarthy dell’Università di Tolosa la quale, molto gentilmente, si è prestata a migliorare le mie manchevolezze stilistiche. Un ringraziamento speciale, inoltre, va all’Università di Tolosa, al Laboratorio Framespa, al Consiglio Nazionale Slovacco per la Borse di Studio (Slovak National Scholarship Board) e al programma Erasmus+, che, agli inizi del 2017, mi hanno consentito di viaggiare in Slovacchia, nella Cechia e in Ungheria ed esplorare gli archivi e le biblioteche, il che si è dimostrato indispensabile per la realizzazione completa di questa ricerca.  

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